Io non ho le misure giuste, me ne sono accorta questa sera
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No, non stavo scrutando la pancia o le cosce davanti ad un impietoso specchio.
Stavo misurando le profondità delle mie emozioni.
Lo so che non esiste un metro però io ho realizzato che le proporzioni fra ciò che vivo nei momenti di preoccupazione e ciò che vivo quando la preoccupazione si risolve nel migliore dei modi, ecco non ci azzeccano nulla fra di loro.
Senza annoiarvi con i fatti di casa nostra vi racconto di due momenti specifici. Momento 1 malanno fisico di un figlio, problema di salute che ci mette preoccupazione e che ci tiene il cuore pesante per alcuni giorni. Per fortuna si risolve tutto per il meglio. Non solo, nella risoluzione sperimentiamo tanti amici che ci stanno accanto e che ci sono anche materialemente di aiuto. Ci sarebbe da aver il cuore colmo di gratitudine per mesi, verrebbe da pensare.
Momento 2 problema logistico e burocratico di altri figli, ci tiene il cuore pesante per alcune ore. Preoccupazione, timore di non saper come fare per aiutare, grazie anche in questo caso al sostegno e all’aiuto di chi incontriamo sul nostro cammino e anche grazie all’unione fra i figli e alla loro cooperazione la cosa si risolve bene. Ci sarebbe da aver il cuore colmo di gratitudine per mesi, verrebbe da dire anche in questo caso
Due casi che si chiudono bene ma che non producono lo stesso spostamento dell’ago del cuore in me. Cosa sto cercando di dire? Che quando sono allarmata per una cosa, quando sono in una condizione dove io mi definirei in pensiero, agitata e preoccupata ecco che per descriverlo direi che ho una unità di emozione in me che misura un valore pari a 100. Poi però quando tutto si risolve per il bene la mia gioia, il mio sollievo non arriva a 100 quasi mai. Spesso si ferma a valori molto più bassi, direi 20 o al massimo 50. Non solo, questo sollievo viene spesso intaccato da altri problemi che magari non sono così grandi, chiamiamoli pure problemini quotidiani, ma che si parano davanti in un modo particolare per cui in uno strano gioco prospettico appaiono enormi. E questa non è una cosa buona, non è una cosa giusta, non è una cosa utile. Cosa fare per correre ai ripari non so, mi ricordo che quando ho compiuto 50 anni avevo scritto la necessità di imparare ad essere fedeli alla gioia, un’arte che si apprende piano piano.
Oggi direi che non solo devo apprendere ad essere fedele alla gioia ma anche a coltivarla, a gustarla e a spanderla. Allora devo assolutamente procurarmi un grande recipiente in cui raccogleire la gioia e tenerla a lievitare. Sì perchè forse è questo il mio peccato originale, tratto la gioia come se fosse una forma di pane già lievitata ma non è così. Lei ha bisogno di un luogo caldo in cui crescere, coperta e al caldo può raddoppiare anche la sua forma se so conservarla al meglio. Devo ricordarmi di far lievitare le cose buone mentre non sono molto brava a farlo adesso. Diciamo che so amplificare di più altre cose, ma se uno ha la tecnica poi può imparare ad usarla anche per altro. Mi metto all’opera.