“Paternità e maternità feconda e responsabile”

(“Dono di Dio sono i figli, sua grazia il frutto del grembo” Sal 126,3)

 

Davide e Nicoletta Oreglia

 

Introduzione

La fecondità è prerogativa di Dio: Dio, essendo Amore, è per sua stessa natura fecondo, cioè datore di vita. Dio Padre è l’unica fonte della paternità-maternità.(Ef 3, 14 -16)

“Per questo, dico, io piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome, perché vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere potentemente rafforzati dal suo Spirito nell`uomo interiore”.

  • L’amore in Dio si compie a partire dall’uscire da Sé del Padre
  • Mentre genera il Figlio, il Padre “spira” lo Spirito: vuole il Figlio, ma lo vuole nello Spirito Santo
  • Il Figlio accoglie il Padre e anche la forza amante e generativa (lo Spirito Santo) con cui l’ha generato: forza amante che adesso Lui rivolge al Padre, facendoGli dono dello stesso Spirito che Lui Gli ha donato.

In Dio (nella Trinità) ogni Persona divina è dono di sé e accoglienza del dono delle altre due Persone.

Creando l’uomo-donna a sua immagine e somiglianza, Dio li ha resi partecipi della Sua fecondità e li ha fatti capaci di comunicare vita, sia in senso fisico che spirituale.

Per vivere la fecondità è necessario uscire da sé per stare dentro un altro.

Per realizzarci ci occorre qualcuno “posto di fronte a noi”, che ci stimoli continuamente ad accoglierlo e a lui donarci sempre di più.

FECONDITA’ E’ CRESCERE FACENDO CRESCERE, cioè è la capacità di far vivere l’altro donando se stessi. L’esercizio di questa capacità ci fa crescere al meglio di noi stessi.

Non c’è niente come il rapporto coniugale che esiga la disponibilità a lasciarsi cambiare dall’altro. → dono di sé.

Non basta essere amanti della proprie moglie o del proprio marito, bisogna rendersi “amabili”! → accoglienza del dono.

 

Prima fecondità: generare il proprio coniuge e farsi generare da lui

Il primo compito degli sposi è quello di formare una comunità di persone cioè generare e diffondere comunione, così come dice il documento dei vescovi italiani “Comunione e Comunità nella Chiesa domestica” che al n°14 scrivono: “La famiglia ha un suo originale e insostituibile compito nel formare la persona alla comunione e alla vita di comunità …… sia a livello umano che a livello cristiano….”

Nessuno può darsi da solo la sua identità. Ciascuno di noi giunge a conoscersi e a realizzarsi come persona, solo nella misura in cui, chi gli sta accanto, lo aiuta a far affiorare gli aspetti più belli e più veri della sua personalità.

Perché Adamo potesse trovare la sua identità e potesse giungere alla piena realizzazione di sé, Dio gli ha donato un “aiuto simile a lui”, un essere che gli stava di fronte alla pari e che era in grado di porsi in relazione d’amore con lui.

Proprio in questa comunione con la sua donna, l’uomo realizza la pienezza dell’essere “immagine e somiglianza di Dio”. L’uomo “diventa immagine di Dio non tanto nel momento della solitudine, quanto nel momento della comunione” (Giovanni Paolo II, “Catechesi sull’amore umano”, IX, n°3).

La persona sposata ha un bisogno essenziale: quello che il proprio coniuge sia una presenza “fecondante” per la sua identità. Una presenza che la renda se stessa. E colui o colei che abbiamo sposato è per noi la nostra “Eva”: quell’aiuto simile che consente il completamento dell’opera creatrice di Dio progettata per noi.

Questo significa che ogni singola persona è già “completa” in quanto amata e desiderata da Dio, ma deve ancora completare l’opera di Dio e questo avviene attraverso la sponsalità (dono di sé e accoglienza dell’altro/a) e la conseguente fecondità.

Ogni parola, ogni gesto amorevole che un coniuge compie verso l’altro è importante nel cammino verso la piena realizzazione di sé.

Sposandoci, quindi, nasce per noi il dovere di rendere conto a Dio, non solo di tutti i talenti che ha dato a noi personalmente, ma anche dei talenti che ha dato al nostro coniuge.

Riconoscere l’altro come dono, amandolo così come è, ed essere disposti a donarsi totalmente è un’espressione importantissima di fecondità degli sposi perché, in questo modo, ciascun coniuge compie verso l’altro un vero e proprio atto generativo, nel senso che lo aiuta a realizzarsi completamente.

La fecondità non deve, quindi, essere identificata solo col comando. “moltiplicatevi”, ma anche col precedente imperativo: “crescete”, cioè aiutatevi l’un l’altro a crescere come persone, nell’amore reciproco e verso Dio, fino alla pienezza voluta dal Creatore.

Abbiamo capito che la fecondità degli sposi non è primariamente costituita dal figlio, ma dalla loro congiunta e realizzata relazione.

 

Seconda fecondità: generare il NOI di coppia

Fecondità non è solo il generare l’altro, ma anche il generare il NOI di coppia attraverso la realizzazione dell’Unità di coppia.

E’ bene chiarire subito, però, che l’unità alla quale devono tendere gli sposi non va intesa nel senso che i due coniugi debbano fondersi, diventando uguali, ma che debbono cercare, nel rispetto delle reciproche identità, una unità affettiva e spirituale che porta i due a perseguire gli stessi obiettivi.

L’abitudine a pensare, a sentire, a decidere insieme alla persona amata porta gradualmente a far maturare un modo di pensare comune, una scala di valori condivisa da cui far scaturire la consapevolezza di essere coppia.

Gli sposi debbono impegnarsi, pur rimanendo distinti, a formare il NOI, a generare la COPPIA, cioè una terza identità che richiede attenzioni e protezione, che deve essere alimentata e fatta crescere come una nuova creatura.

Se si vuole impostare bene il proprio matrimonio, non si dovrà cercare solo il bene di ciascun coniuge, ma ci si dovrà preoccupare soprattutto del bene della coppia, con la consapevolezza che tutti e due sono corresponsabili di questo bene e che ogni altro bene consegue da questo, in modo particolare il bene dei figli.

La grazia sacramentale delle nozze, quindi, non consiste semplicemente in un aiuto dato ai singoli individui per rafforzare le loro virtù, ma è un aiuto per costituire questa realtà nuova che è la loro coppia e dà agli sposi la capacità di vivere la loro unione con lo stesso amore che ha Cristo per la sua sposa, la Chiesa.

Gli sposi, consapevoli di questa straordinaria dignità e responsabilità, possono rendere sempre più saldo il vincolo che li unisce attingendo forza dallo Spirito Santo attraverso i sacramenti e l’ascolto della Parola, ma anche attraverso la preghiera di coppia, una preghiera incarnata che consiste nel portare Dio nella vita concreta di tutti i giorni.

Possiamo sintetizzare con le parole del Catechismo della Chiesa Cattolica che al n° 1661 dice: “Il sacramento del matrimonio è segno dell’unione di Cristo e della Chiesa. Esso dona agli sposi la grazia di amarsi con l’amore con cui Cristo ha amato la sua Chiesa; la grazia del sacramento perfeziona così l’amore umano dei coniugi, consolida la loro unità indissolubile e li santifica nel cammino della vita eterna”.

Terza fecondità: il dono dei figli

La presenza del NOI di coppia, che ha portato i coniugi ad uscire dal loro egocentrismo per andare incontro all’altro può completarsi nella chiamata a generare dei figli.

Il generare figli appartiene all’immagine e somiglianza  di Dio. E’ porre vita nuova per partecipare qui sulla terra alla fecondità Trinitaria che ha deciso di “creare” e continua, mediante gli uomini e le donne, a creare.

Scrive la F.C. al n° 14: “ L’amore coniugale non si esaurisce all’interno della coppia; questo amore li rende capaci della massima donazione possibile per la quale diventano cooperatori con Dio in vista del dono della vita ad una nuova persona. Così i coniugi, mentre si donano tra loro, donano al di là di sé stessi la realtà del figlio, riflesso vivente del loro amore, segno permanente dell’unità coniugale e sintesi viva e indissociabile del loro essere padri e madri”.

I figli sono immagine viva, icona del Noi di coppia (il vero Terzo) che è diventato talmente concreto da obbligare gli sposi a mantenere sempre più unito il loro NOI, se vogliono far trovare ai figli un ambiente adatto nel quale farli crescere. I figli sono come i pesci che non possono sopravvivere se non nuotando nel mare dell’amore che è il NOI di mamma e papà. Il compito di allevare ed educare i figli è, dunque, una crescita per l’unità di coppia. Facendoli crescere si cresce; educandoli ci si educa.

Il figlio nasce dal dono di ciascun coniuge all’altro, ma è soprattutto dono di Dio. Nella lettera alle famiglie al n°9 è detto: “I genitori davanti ad un nuovo essere umano hanno o dovrebbero avere piena consapevolezza del fatto che Dio vuole questo uomo < per sé stesso >” Come tale esso è un bene infinito in sé stesso e non può essere ritenuto una proprietà, né può essere strumentalizzato per altri scopi: oggetto di compagnia, compensazione delle nostre aspirazioni non realizzate, simbolo della nostra bravura o del nostro benessere, scusa per trascurare il coniuge …….

Un figlio è e rimarrà sempre una creatura del Padre!

Dio affida ogni figlio ai suoi genitori e lascia piena libertà d’azione agli uni e all’altro, ma la Sua paternità non viene mai meno; che lo voglia o no, ogni uomo resta di Dio.

Per gli Ebrei questo concetto era molto chiaro: ogni primogenito maschio era consacrato al Signore e per riscattarlo si doveva compiere un sacrificio.

Guardando i nostri figli siamo chiamati a sentirci pieni di gratitudine verso Dio e a sentire il desiderio di comunicare loro il mistero di Dio-Amore, dal quale essi provengono e al quale dovranno tornare.

 

Fecondità spirituale in ordine ai figli

Così dice il C.C.C. al n° 2221: “ La fecondità dell’amore coniugale non si riduce alla sola procreazione dei figli, ma deve estendersi alla loro educazione morale e alla loro formazione spirituale”.

Gli sposi, che hanno legato la loro vita di coppia a Dio con un vincolo indissolubile, sono consapevoli che la crescita di un figlio non consiste solamente nella crescita di un corpo dotato di una buona maturità umana, ma si tratta di far crescere un’anima. Corpo e anima formano un’unità inscindibile; per questo la fecondità spirituale non può essere legata solo a qualche gesto religioso da porre in alcuni momenti della vita, ma fa parte strutturale dell’educazione, anche se poi va accolta e confermata dalla scelta dei figli una volta che siano diventati più consapevoli.

Essere fecondi spiritualmente va ben oltre il non far mancare nulla ai figli o educarli alle buone maniere della convivenza sociale, ma significa metterli in condizione di dare risposta alle domande fondamentali della vita:

Come mio figlio saprà amare ed essere amabile? Come mio figlio saprà decidere tra ciò che è bene e ciò che è male? Quale valore darà mio figlio al tempo e alle cose? Quando avrà scoperto la bellezza del suo corpo saprà coglierne il senso più profondo? Avrà imparato il significato vero della vita che va oltre le gioie e i dolori di ogni giorno?

 

Gli … imprevisti

La coppia può trovarsi anche davanti a un figlio “inaspettato”: la mentalità corrente porta a considerarlo un errore di cui vergognarsi o magari sbarazzarsi. La responsabilità in questo caso si esercita permettendo a questa nuova vita di dilatare le capacità della famiglia, la sua creatività nel ristrutturarsi, confidando nella Provvidenza che, come dicevano i nostri anziani, “manda ogni bambino col suo fagottino”.

L’armonizzazione di generosità e responsabilità, esigenze, che a volte si trovano in aperto contrasto, spetta agli sposi ed ogni scelta in questo ambito compete soltanto a loro, alla loro coscienza, formata però con lealtà ed impegno responsabile anche alla luce del Vangelo e dell’insegnamento della Chiesa ( Gaudium et spes, n. 50).

 

Fecondità oltre la fertilità

Come non esiste una fertilità fisica che non derivi dall’incontro tra due persone tra loro distinte, così non si può parlare di una capacità di essere fecondi spiritualmente se non a partire da una unione sponsale con l’Assolutamente distinto da noi. Da soli non si è fecondi in nessun modo, occorre dunque un partner!

Per l’Antico Testamento questo era chiarissimo tanto che c’era uno strettissimo collegamento tra la fecondità (di ogni tipo) e la relazione che il popolo di Israele viveva con il Suo Signore. Emblematica è la metafora presentata dal profeta Isaia al cap. 5 che riferisce della delusione del Signore per la sua vigna che non produce uva buona. Nonostante l’infedeltà del popolo (raffigurato dalla vigna) l’uva è stata in ogni caso prodotta, solo che essa è “selvatica”. Israele cioè continua a produrre “uva” (sacrifici nel tempio; osservanza della Legge, ecc.) ma volendo produrre da solo i frutti che gli sono utili e dimenticandosi del rapporto d’amore con Dio si accorge che quest’uva non è adatta per fare il vino buono che rende ebbri nello Spirito.

Anche la pienezza della fecondità degli sposi cristiani scaturisce dal rapporto di fedeltà con Dio.

Quando la coppia accetta di “far coppia” con Dio, gli sposi ampliano la loro capacità di amare e sperimentano che la fedeltà a Dio li rende capaci di andare oltre la fertilità, che è propria solo di una stagione della vita, per raggiungere una fecondità che riempie tutto il tempo della vita e oltre la vita.

Se la coppia non realizza la relazione con “Dio sposo” finisce per vivere in maniera sterile anche quando mette al mondo numerosi figli perché non avrà la fecondità che va oltre la casa, oltre i figli, oltre la propria famiglia. Non sarà in grado di “fecondare” la Chiesa, la società, il mondo.

Di conseguenza la maternità e la paternità non si misurano sul numero dei figli, ma sulla somiglianza con la paternità di Dio e cioè con tutti gli uomini del mondo, da quelli che vivono nel nostro ambiente di vita a quelli che vivono lontani da noi.

 

Conclusione e… nuova riapertura.

Non sviluppiamo l’argomento ma ci sembra fondamentale richiamare il fatto che la fecondità che gli sposi vivono l’uno verso l’altro e nei confronti dei figli (paternità e maternità), non può fermarsi sulla porta di casa, ma li conduce a condividere la fede con gli altri fratelli.

La Familiaris consortio (n. 41) offre un allargamento del concetto di fecondità: “La fecondità delle famiglie deve conoscere una sua incessante «creatività», frutto meraviglioso dello Spirito di Dio che spalanca gli occhi del cuore per scoprire le nuove necessità e sofferenze della nostra società, e che infonde coraggio per assumerle e darvi risposta. In questo quadro si presenta alle famiglie un vastissimo campo d’azione: infatti, ancor più preoccupante dell’abbandono dei bambini è oggi il fenomeno dell’emarginazione sociale e culturale, che duramente colpisce anziani, ammalati, handicappati, tossicodipendenti, ex –

carcerati, ecc. In tal modo si dilata enormemente l’orizzonte della paternità e maternità

delle famiglie cristiane: il loro amore spiritualmente fecondo è sfidato da queste e da tante

altre urgenze del nostro tempo. Con le famiglie e per mezzo di loro, il Signore Gesù continua ad avere «compassione» delle folle”.

La presenza nel territorio di famiglie che vivono le dimensioni più significative della vita cristiana lascia un’impronta di fecondità anche nel tessuto sociale. La ricchezza di amore vissuta dagli sposi deve diventare fonte di energia e di impegno da spendersi anche in campo sociale.

Appendice 1: Le caratteristiche dell’amore coniugale (Humanae Vitae)

n.9. In questa luce appaiono chiaramente le note e le esigenze caratteristiche dell’amore coniugale, di cui è di somma importanza avere un’idea esatta. È prima di tutto amore pienamente umano, vale a dire sensibile e spirituale. Non è quindi semplice trasporto di istinto e di sentimento, ma anche e principalmente è atto della volontà libera, destinato non solo a mantenersi, ma anche ad accrescersi mediante le gioie e i dolori della vita quotidiana; così che gli sposi diventino un cuor solo e un’anima sola, e raggiungano insieme la loro perfezione umana. È poi amore totale, vale a dire una forma tutta speciale di amicizia personale, in cui gli sposi generosamente condividono ogni cosa, senza indebite riserve o calcoli egoistici. Chi ama davvero il proprio consorte, non lo ama soltanto per quanto riceve da lui, ma per se stesso, lieto di poterlo arricchire del dono di sé. È ancora amore fedele ed esclusivo fino alla morte. Così infatti lo concepiscono lo sposo e la sposa nel giorno in cui assumono liberamente e in piena consapevolezza l’impegno del vincolo matrimoniale. Fedeltà che può talvolta essere difficile, ma che sia sempre possibile, e sempre nobile e meritoria, nessuno lo può negare. L’esempio di tanti sposi attraverso i secoli dimostra non solo che essa è consentanea alla natura del matrimonio, ma altresì che da essa, come da una sorgente, scaturisce una intima e duratura felicità. È infine amore fecondo, che non si esaurisce tutto nella comunione dei coniugi, ma è destinato a continuarsi, suscitando nuove vite. “Il matrimonio e l’amore coniugale sono ordinati per loro natura alla procreazione ed educazione della prole. I figli infatti sono il preziosissimo dono del matrimonio e contribuiscono moltissimo al bene degli stessi genitori”.

 

n.10. La paternità responsabile – L’amore coniugale richiede negli sposi una coscienza della loro missione di “paternità responsabile”, sulla quale oggi a buon diritto tanto si insiste e che va anch’essa esattamente compresa. Essa deve considerarsi sotto diversi aspetti legittimi e tra loro collegati.

In rapporto ai processi biologici, paternità responsabile significa conoscenza e rispetto delle loro funzioni: 1’intelligenza scopre, nel potere di dare la vita, leggi biologiche che fanno parte della persona umana.

In rapporto alle tendenze dell’istinto e delle passioni, la paternità responsabile significa il necessario dominio che la ragione e la volontà devono esercitare su di esse.

In rapporto alle condizioni fisiche, economiche, psicologiche e sociali, la paternità responsabile si esercita, sia con la deliberazione ponderata e generosa di far crescere una famiglia numerosa, sia con la decisione, presa per gravi motivi e nel rispetto della legge morale, di evitare temporaneamente o anche a tempo indeterminato, una nuova nascita.

Paternità responsabile comporta ancora e soprattutto un più profondo rapporto all’ordine morale oggettivo stabilito da Dio, e di cui la retta coscienza è fedele interprete. L’esercizio responsabile della paternità implica dunque che i coniugi riconoscano pienamente i propri doveri verso Dio, verso se stessi; verso la famiglia e verso la società, in. una giusta gerarchia dei valori.

 

 

Appendice 2 “Servire la vita” Dal messaggio dei Vescovi per la giornata della vita 2008

 

I figli sono una grande ricchezza per ogni Paese: dal loro numero e dall’amore e dalle attenzioni che ricevono dalla famiglia e dalle istituzioni emerge quanto un Paese creda nel futuro. Chi non è aperto alla vita, non ha speranza…

La civiltà di un popolo si misura dalla sua capacità di servire la vita. I primi a essere chiamati in causa sono i genitori. Lo sono al momento del concepimento dei loro figli: il dramma dell’aborto non sarà mai contenuto e sconfitto se non si promuove la responsabilità nella maternità e nella paternità. Responsabilità significa considerare i figli non come cose, da mettere al mondo per gratificare i desideri dei genitori; ed è importante che, crescendo, siano incoraggiati a “spiccare il volo”, a divenire autonomi, grati ai genitori proprio per essere stati educati alla libertà e alla responsabilità, capaci di prendere in mano la propria vita.

Questo significa servire la vita. Purtroppo rimane forte la tendenza a servirsene. Accade quando viene rivendicato il “diritto a un figlio” a ogni costo, anche al prezzo di pesanti manipolazioni eticamente inaccettabili. Un figlio non è un diritto, ma sempre e soltanto un dono. Come si può avere diritto “a una persona”? Un figlio si desidera e si accoglie, non è una cosa su cui esercitare una sorta di diritto di generazione e proprietà. Ne siamo convinti, pur sapendo quanto sia motivo di sofferenza la scoperta, da parte di una coppia, di non poter coronare la grande aspirazione di generare figli. Siamo vicini a coloro che si trovano in questa situazione, e li invitiamo a considerare, col tempo, altre possibili forme di maternità e paternità: l’incontro d’amore tra due genitori e un figlio, ad esempio, può avvenire anche mediante l’adozione e l’affidamento e c’è una paternità e una maternità che si possono realizzare in tante forme di donazione e servizio verso gli altri…

Per questo diciamo grazie a tutti coloro che scelgono liberamente di servire la vita. Grazie ai genitori responsabili e altruisti, capaci di un amore non possessivo; ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose, agli educatori e agli insegnanti, ai tanti adulti – non ultimi i nonni – che collaborano con i genitori nella crescita dei figli; ai responsabili delle istituzioni, che comprendono la fondamentale missione dei genitori e, anziché abbandonarli a se stessi o addirittura mortificarli, li aiutano e li incoraggiano; a chi – ginecologo, ostetrica, infermiere – profonde il suo impegno per far nascere bambini; ai volontari che si prodigano per rimuovere le cause che indurrebbero le donne al terribile passo dell’aborto, contribuendo così alla nascita di bambini che forse, altrimenti, non vedrebbero la luce; alle famiglie che riescono a tenere con sé in casa gli anziani, alle persone di ogni nazionalità che li assistono con un supplemento di generosità e dedizione.

 

Appendice 3 – Paternità e maternità riflesso della fecondità di Cristo e della Chiesa – P.Enrico Mauri

La paternità e maternità, vista nel riflesso della fecondità di Cristo e della Chiesa, acquista un particolare privilegio, quello di ambire di dare a Dio e di educare a Lui una prole che abbia le divine fattezze e perpetui la fioritura di anime che fecondano l’unione di Cristo e della Chiesa.

Se gli sposi fossero così edotti, vedrebbero e parlerebbero del matrimonio con venerazione, come di cosa e vita sacra in ogni aspetto; avvolgerebbero nel velo del riserbo tutto ciò che di intimo il Sacramento esige e non gettando nei discorsi “ai cani” le cose sante che sono nascoste nel Grande Sacramento.

Quanto sono rari gli sposi che, vedendosi in questa luce soprannaturale, si venerano reciprocamente, con quel rispetto che faceva inchinare S. Francesco di Sales davanti ad ogni coppia di sposi.

Quanto sono rari gli sposi che si fanno diffusori di queste visioni di luce sacramentale, sia col proprio sposo, sia nei figli, sia intorno a se, per renderli gemelli nel credere e nel vivere il grande Sacramento e reagire all’avvilimento, all’abbruttimento, alla profanazione della vita nuziale, oggi imperante.

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