“Le parole non sono come i cani che una volta che li fai uscire dal recinto basta un fischio e rientrano”

Una delle cose più belle che mi ha donato il percorso scolastico dei nostri figli, oltre all’incontro con splendidi insegnanti che ci hanno dato tanto, è la possibilità di riprendere in mano letture e temi che avevo affrontato negli anni della mia giovinezza. Certi libri presi in mano a 50 anni danno prospettive di riflessione interessanti e mi fanno fare utili ragionamenti che condivido volentieri con voi. Qui il passo è tratto da “Il giorno della civetta” di Sciascia. Il protagonista, il capitano dei carabinieri Bellodi indagando su di un fatto di sangue accaduto in un piccolo paese del Siracusano, si imbatte in una rete fitta fitta di omertà e coperture che traballano solo quando don Mariano, il burattinaio di tutto,  mosso dall’ira si lascia scappare una parola di troppo nei confronti del morto ammazzato. E lì Sciascia commenta proprio che “don Mariano si era lasciato andare, e le parole non sono come cani cui si può fischaire e richiamarli”.

LA RICETTA DEL DIALOGO DI COPPIA

Questa frase mi ha fatto venire in mente una delle domande che più spesso mi vengono fatte nel mio lavoro di consulente di coppia: “Dottoressa, ci dia una regola da seguire per il nostro dialogo, una ricetta!” Questà è una richiesta che mi sento fare spesso. Seguo le coppie con fatiche da 20 anni ma non ho ancora distillato i 3 passi fondamentali per garantirsi un buon dialogo. Però una cosa l’ho imparata: le parole sono potenti e non si possono richiamare nella bocca una volta che sono uscite, propio come dice Sciascia. La parola genera in parte ciò che narra, anche se è detta in modo non perfetto, senza tutta la convinzione. Se ripeto a mio marito ogni volta che abbiamo una screzio “Io me ne vado, hai capito!!” e anche se non ho nessuna intenzione di farlo, ebbene queste parole generano più distanza di quanta io desidero che ci sia fra di noi.

Eppure assisto così spesso all’uso direi sconsiderato delle parole che mi viene da chiedermi se ne siamo veramente consapevoli.Forse verrebbe da dire che lo sappiamo sì e che insieme non lo crediamo del tutto possibile.

La signora che si lamenta con me dicendo che “Mio marito non mi dice mai che mi vuole bene” dichiara una mancanza di parole buone da parte di un uomo che compie gesti di cura nei suoi confronti “Lo so che pensa a me, a noi eppure la mancanza del sentirglielo dire mi ferisce tanto” Ma è la stessa situazione in cui sempre lei dice senza nessuna esitazione “Torna sempre troppo tardi, troppo stanco, troppo nervoso e così non gli dico mai che lo amo ma spesso che lo sopporto e che non mi merita! Sono contenta che ci sia ma non riesco a dirglielo!”

Insomma siamo in grado di riconoscere una mancanza forte in noi per le parole che l’altro non ci dona eppure non percepiamo con la stessa chiarezza il potere devastante che hanno le parole che allontanano e che noi pronunciamo.  Avari a dirci il bello e prodighi con il lamento.Eppure proprio perchè proviamo che la parola “genera”, sarebbe saggio lasciar fluire le buone parole di noi, le buone parole per noi e generare del buono per la nostra relazione. Naturalmente un buono che abbiamo sperimentato, vissuto. Una delle prime cose che chiedo a chi viene da me per lavoro è di narrarmi cosa sanno o sapevano o hanno imparato a fare abbastanza bene insieme. La prima risposta che ricevo di solito è “Non ci viene in mente niente”

COSA SAPPIAMO FARE INSIEME?

Poi uno dei due si ferma, guarda l’altro e si chiede : “Ma possibile? A te viene in mente qualcosa?” Io, con la teoria dei piccoli passi inizio a dare spunti: magari insieme si riesce bene ad  organizzare feste, dare la tinta in casa, programmare le ferie, scegliere film, sopravvivere all’adolescenza dei figli… A questo punto qualcosa scatta in mente e si accorgono che sì, sanno fare delle cose insieme e che gli vengono pure bene e così i loro occhi si riempiono di gioia e insieme di imbarazzo. Gioia per aver trovato il buono, imbarazzo perchè sono serviti dei suggerimenti. “Possibile che non siano venuti in mente a noi? Siamo venuti qui con l’elenco di ciò che ci manca e non con quello delle nostre competenze…” mi ha detto un giorno un signore con grande sincerità e chiarezza. Mancava l’elenco, non la competenza, mancava un posto in cui questo saper essere insieme, saper fare fosse collocato, guardato con  rispetto e anche raccontato.

C’E’ UNO SCHEDARIO DA AVERE
Curiamo in modo maniacale lo schedario di ciò che manca nella nostra relazione e insieme trascuriamo del tutto ciò che abbiamo, la gioia possibile, la pienezza possibile, l’intesa possibile che abbiamo gustato. Perchè capita questo? Si tratta di una situazione così generalizzata che io credo dipenda dal fatto che non abbiamo l’abitudine a cogliere il buono. Alcuni credono  che dipenda da un tratto del carattere che si può ricevere in sorte oppure no.  Invece secondo me la capacità di cogliere il buono è una forma di abilità che si può apprendere in modo eccellente  se ci si allena in modo serio. Tutto questo porta a cambiare la qualità dell’ambiente di casa nostra e del nostro stare insieme. Così nasce il dialogo di coppia che ha una caratteristica specifica: è fatto per dire all’altro che  stare  insieme vuol dire essere a casa, che si è grati per la strada percorsa,   che si vuole dare spazio alla speranza per il futuro.  Tutto ciò non accade per caso, si sceglie di farlo ed eè bene  farlo spesso.

 

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